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venerdì 13 marzo 2015

" ...una insegnante canadese... "


" Cari studenti delle superiori del ventunesimo secolo,
la settimana prossima comincerà un nuovo semestre e mi sento costretta a chiedervi scusa. Nonostante tutti i nostri sforzi, noi insegnanti non siamo riusciti a persuadere quelli che hanno il potere politico a cambiare il nostro sistema educativo. A quanto sembra, non siamo capaci di convincere il nostro premier che investire sulla vostra istruzione andrebbe a vantaggio di tutti noi e non inquinerebbe né l’acqua né l’aria.

Perciò, finché i vostri bisogni educativi non prevarranno su quelli delle multinazionali straniere, vi prego di accettare le mie scuse.

Mi dispiace che dobbiate venire a scuola così presto la mattina, anche se varie ricerche nel campo delle neuroscienze hanno appurato che il cervello degli adolescenti non funziona in modo ottimale prima delle dieci.

Mi dispiace che dobbiate chiedermi il permesso di uscire dalla classe per andare a fare pipì anche se avete già la patente, un lavoro part-time e state prendendo decisioni importanti per il vostro futuro dopo la scuola.

Mi dispiace che ogni giorno siate costretti a stare seduti per sei ore anche se molti studi hanno dimostrato che stare seduti troppo a lungo danneggia sia le capacità cognitive sia la salute.

Mi dispiace che siate divisi per età e costretti a procedere attraverso il sistema scolastico con i vostri coetanei come se l’età anagrafica avesse qualcosa a che vedere con l’intelletto, la maturità, le competenze o l’abilità.

Mi dispiace che quelli di voi che incontrano difficoltà a scuola non ricevano il giusto sostegno perché finanziare i vostri bisogni non è tra le priorità dell’attuale politica economica.

Mi dispiace che dobbiate studiare materie che non vi interessano in un’epoca in cui la somma totale delle conoscenze umane raddoppia ogni dodici mesi.

Mi dispiace che vi facciano credere che per ottenere il massimo dei voti dovete competere tra voi, quando i progressi umani sono sempre stati frutto di una collaborazione che spesso a scuola viene considerata “imbrogliare”.

Mi dispiace che siate costretti a usare dei libri di testo che contengono informazioni superate e troviate a scuola tecnologie obsolete della cui manutenzione nessuno si occupa.

Mi dispiace che quello che chiamano insegnamento personalizzato in realtà non lo sia affatto. L’insegnamento veramente personalizzato costa troppo, lo capite?

Mi dispiace che sia improbabile che la Strategia innovativa, la riforma scolastica della British Columbia tanto strombazzata dal governo attuale, produca cambiamenti significativi a parte un nuovo modo per calcolare quello che si fa a scuola.

Ma, soprattutto, mi dispiace che il sistema educativo vi costringa a far parte di un’economia estrattiva quando il nostro ambiente, senza il quale non ci sarebbe nessuna economia, sta subendo una crisi climatica che ci imporrà una rapida riconfigurazione di tutto quello che stiamo facendo in campo sociale, politico ed economico, e per la quale siamo del tutto impreparati.

Mi dispiace moltissimo.

Vorrei che la vostra curiosità non fosse soffocata dal conformismo scolastico.

Vorrei avere una bacchetta magica per darvi il tipo di scuola in cui ci sono spazi per analizzare ed esplorare, sperimentare e apprendere in modo diverso.

Vorrei avere il potere di riaccendere la passione e il desiderio di imparare che leggo nei vostri occhi prima che entriate a scuola.

Vorrei potervi aiutare a ricordare che prima di essere studenti eravate scienziati che sperimentavano, scoprivano, si ponevano domande e facevano collegamenti.

Eravate anche poeti… vi ricordate quanto divertiva e sorprendeva gli adulti intorno a voi il modo in cui descrivevate le cose?

Siete nati per imparare. Non potete non imparare.

Mi dispiace che vi facciano credere che l’unico apprendimento che conta sia quello che avviene a scuola. Anzi, poi, solo quello che avviene in classe. E nemmeno conta tutto quello che si impara in classe: alla fine conta solo quello che troverete nei test.

Vorrei potervi portare in altri posti dove il sistema educativo pubblico è una priorità di politici convinti che la futura società del loro paese dipenderà dalle caratteristiche del sistema educativo.

In un’epoca in cui la nostra vita dipende dall’ingegnosità nel risolvere i problemi più difficili, sprechiamo le potenzialità che ha la nostra mente di trovare soluzioni creative. L’adolescenza è il periodo in cui gli esseri umani raggiungono il culmine del loro sviluppo cognitivo. Le prove della vostra capacità di pensare “fuori degli schemi” e di trovare soluzioni creative sono ovunque intorno a noi.

Vorrei poter mostrare alle autorità ciò che dovrebbero vedere per rendersi conto di quello che siete capaci di fare, se solo ve ne dessero la possibilità.

Se solo…

Con sincero affetto.

Un’insegnante "

...dal blog di Lizanne Foster (l'insegnante), che dopo aver scritto ai suoi studenti canadesi, scrive pure ai tanti che dall'Italia la hanno contattata:

" Cari studenti italiani,
i vostri messaggi sono stati strazianti e commoventi. Riceverli mi ha scaldato il cuore, ma ho sofferto nel leggere le vostre frustrazioni. Ho pensato di dirvi qualcosa di più su di me per farvi capire che anche a voi andrà tutto bene.

Sono stata educata negli anni settanta in Sudafrica, durante il periodo dell’apartheid. Ero considerata una cittadina di seconda classe, indegna dei soldi che lo stato spendeva per l’istruzione dei sudafricani bianchi. Sapevo che dopo la laurea ci sarebbero stati dei lavori ai quali non avrei potuto aspirare per via del colore della mia pelle.

Ma sono sopravvissuta lo stesso. Ho avuto la fortuna di crescere in una casa piena di libri. Quando ci comportavamo bene, mio padre ci premiava regalandoci libri e fumetti che venivano dal Regno Unito. Leggevo continuamente e questo mi aiutava a rifugiarmi nei luoghi più felici della mia mente.

Ho imparato il gioco della scuola, a fare quello che era necessario per tirare avanti. Uno dei “vantaggi” di essere vissuta sotto l’apartheid è stato che sono nata per resistere. Sapevo che quello che mi diceva il governo non era vero, perciò ho imparato a leggere il mondo diversamente, tra le righe e fuori delle righe.

Quando indossavo l’uniforme della scuola, ero una studentessa che stava perfettamente al gioco, quando me la toglievo, ero solo me stessa e imparavo quello che volevo.

Sono diventata insegnante per caso. Era l’ultima cosa che volevo fare, perché a scuola avevo vissuto tante esperienze orribili. I professori ci picchiavano e ci punivano ingiustamente.

Ma quella di insegnante era una delle poche carriere alle quali lo stato consentiva di accedere a chi aveva la pelle del mio colore. E così per venticinque anni ho cercato, prima in Sudafrica e poi qui in Canada, di essere il tipo di insegnante che mi sarebbe piaciuto avere quando ero una studentessa.

Mi dispiace che anche voi stiate vivendo la stessa esperienza degli studenti canadesi e americani perché i politici tagliano i fondi alle scuole pubbliche e incoraggiano la privatizzazione dell’istruzione.

Sappiate che non siete soli in questa lotta.

Sappiate che anche voi ce la farete.

Vi do qualche consiglio per riuscirci meglio.

Accumulate esperienze che vi permettano di uscire dalla vostra zona di sicurezza. Che cosa succede al vostro cervello e al vostro corpo quando passate un’ora in un bosco o sulla riva di un fiume a guardare semplicemente l’acqua che scorre?

Cercate di stare con chi condivide i vostri interessi e le vostre preoccupazioni. La vostra “tribù” è lì fuori che vi aspetta. Unitevi a persone che fanno arte, fanno musica o fanno la differenza in altri modi.

Esprimete quello che avete imparato, quello che avete visto e notato. Disegnate. Cantate. Ballate.

Voi siete importanti. C’è un motivo per cui siete qui. Il mondo aspetta il risveglio della vostra passione e della vostra creatività.

Namaste,

Lizanne "


# l a b u o n a s c u o l a  # b o c c i a r e n z i  :(

domenica 25 dicembre 2011

" Questa è acqua, questa è acqua! "

" Un saluto a tutti e le mie congratulazioni alla classe 2005 dei laureati del Kenyon college. Ci sono due giovani pesci che nuotano uno vicino all'altro e incontrano un pesce più anziano che, nuotando in direzione opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice “Buongiorno ragazzi. Com'è l’acqua?” I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’, e poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede “ma cosa diavolo è l’acqua?”
È una caratteristica comune ai discorsi nelle cerimonie di consegna dei diplomi negli Stati Uniti di presentare delle storielle in forma di piccoli apologhi istruttivi. La storia è forse una delle migliori, tra le meno stupidamente convenzionali nel genere, ma se vi state preoccupando che io pensi di presentarmi qui come il vecchio pesce saggio, spiegando cosa sia l’acqua a voi giovani pesci, beh, vi prego, non fatelo. Non sono il vecchio pesce saggio. Il succo della storia dei pesci è solamente che spesso le più ovvie e importanti realtà sono quelle più difficili da vedere e di cui parlare. Espresso in linguaggio ordinario, naturalmente diventa subito un banale luogo comune, ma il fatto è che nella trincea quotidiana in cui si svolge l’esistenza degli adulti, i banali luoghi comuni possono essere questioni di vita o di morte, o meglio, è questo ciò che vorrei cercare di farvi capire in questa piacevole mattinata di sole.

Chiaramente, l’esigenza principale in discorsi come questo è che si suppone vi parli del significato dell vostra educazione umanistica, e provi a spiegarvi perché il diploma che state per ricevere ha un effettivo valore sul piano umano e non soltanto su quello puramente materiale. Per questo, lasciatemi esaminare il più diffuso stereotipo nei discorsi fatti a questo tipo di cerimonie, ossia che che la vostra educazione umanistica non consista tanto “nel fornirvi delle conoscenze”, quanto “nell'insegnarvi a pensare”.

Se siete come me quando ero studente, non vi sarà mai piaciuto ascoltare questo genere di cose, e avrete tendenza a sentirvi un po’ insultati dall'affermazione che dobbiate aver bisogno di qualcuno per insegnarvi a pensare, poiché il fatto stesso che siete stati ammessi a frequentare un college così prestigioso vi sembra una dimostrazione del fatto che già sapete pensare. Ma vorrei convincervi che lo stereotipo dell’educazione umanistica in realtà non è per nulla offensivo, perché la vera educazione a pensare, che si pensa si debba riuscire ad avere in un posto come questo, non riguarda affatto la capacità di pensare, ma piuttosto la scelta di cosa pensare. Se la vostra assoluta libertà di scelta su cosa pensare vi sembrasse troppo ovvia per perdere del tempo a discuterne, allora vorrei chiedervi di pensare al pesce e all'acqua, e a mettere tra parentesi anche solo per pochi minuti il vostro scetticismo circa il valore di ciò che è completamente ovvio.

Ecco un’altra piccola storia istruttiva. Ci sono due tizi che siedono insieme al bar in un posto sperduto e selvaggio in Alaska. Uno dei due tizi è credente, l’altro è ateo, e stanno discutendo sull'esistenza di Dio, con quell'intensità particolare che si stabilisce più o meno dopo la quarta birra. E l’ateo dice: “Guarda, non è che non abbia ragioni per non credere. Ho avuto anche io a che fare con quella roba di Dio e della preghiera. Proprio un mese fa mi sono trovato lontano dal campo in una terribile tormenta, e mi ero completamente perso e non riuscivo a vedere nulla, e facevano 45 gradi sotto zero, e così ho provato: mi sono buttato in ginocchio nella neve e ho urlato ‘Oh Dio, se c’è un Dio, mi sono perso nella tormenta, e morirò tra poco se tu non mi aiuterai’.” E a questo punto, nel bar, il credente guarda l’ateo con aria perplessa “Bene, allora adesso dovrai credere” dice, “sei o non sei ancora vivo?” E l’ateo, alzando gli occhi al cielo “Ma no, è successo invece che una coppia di eschimesi, che passava di lì per caso, mi ha indicato la strada per tornare al campo.”

È facile interpretare questa storiella con gli strumenti tipici dell’analisi umanistica: la stessa precisa esperienza può avere due significati totalmente diversi per due persone diverse, avendo queste persone due diversi sistemi di credenze e due diversi modi di ricostruire il significato dall'esperienza. Poiché siamo convinti del valore della tolleranza e della varietà delle convinzioni, in nessun modo la nostra analisi umanistica vorrà affermare che l’interpretazione di uno dei due tizi sia giusta a quella dell’altro falsa o cattiva. E questo va anche bene, tranne per il fatto che in questo modo non si riesce mai a discutere da dove abbiano origine questi schemi e credenze individuali. Voglio dire, da dove essi vengano dall'INTERNO dei due tizi. Come se l’orientamento fondamentale verso il mondo di una persona e il significato della sua esperienza fossero in qualche modo intrinseci e difficilmente modificabili, come l’altezza o il numero di scarpe, o automaticamente assorbiti dal contesto culturale, come il linguaggio. Come se il modo in cui noi costruiamo il significato non fosse in realtà un fatto personale, frutto di una scelta intenzionale. Inoltre, c’è anche il problema dell’arroganza. Il tizio non credente è totalmente certo nel suo rifiuto della possibilità che il passaggio degli eschimesi abbia qualche cosa a che fare con la sua preghiera. Certo, ci sono un sacco di credenti che appaiono arroganti e anche alcune delle loro interpretazioni. E sono probabilmente anche peggio degli atei, almeno per molti di noi. Ma il problema del credente dogmatico è esattamente uguale a quello del non credente: una certezza cieca, una mentalità chiusa che equivale a un imprigionamento così totale che il prigioniero non si accorge nemmeno di essere rinchiuso.

Il punto che vorrei sottolineare qui è che credo che questo sia una parte di ciò che vuole realmente significare insegnarmi a pensare. A essere un po’ meno arrogante. Ad avere anche solo un po’ di coscienza critica su di me e le mie certezze. Perché una larga percentuale di cose sulle quali tendo a essere automaticamente certo risulta essere totalmente sbagliata e deludente. Ho imparato questo da solo e a mie spese, e così immagino sarà per voi una volta laureati.

Ecco un esempio della totale falsità di qualche cosa su cui tendo ad essere automaticamente sicuro: nella mia esperienza immediata, tutto tende a confermare la mia profonda convinzione che io sia il centro assoluto dell’universo, la più reale e vivida e importante persona che esista. Raramente pensiamo a questa specie di naturale, fondamentale egocentrismo, perché è qualche cosa di socialmente odioso. Ma in effetti è lo stesso per tutti noi. È la nostra configurazione di base, codificata nei nostri circuiti fin dalla nascita. Pensateci: non c’è nessuna esperienza che abbiate fatto di cui non ne siate il centro assoluto. Il mondo, così come voi lo conoscete, è lì davanti a VOI o dietro di VOI, o alla VOSTRA sinistra o alla VOSTRA destra, sulla VOSTRA TV o sul VOSTRO schermo. E così via. I pensieri e i sentimenti delle altre persone devono esservi comunicati in qualche modo, ma i vostri sono così immediati, urgenti, reali.

Adesso vi prego di non pensare che io voglia farvi una lezione sulla compassione o la sincerità o altre cosiddette “virtù”. Il problema non è la virtù. Il problema è di scegliere di fare il lavoro di adattarsi e affrancarsi dalla configurazione di base, naturale e codificata in noi, che ci fa essere profondamente e letteralmente centrati su noi stessi, e ci fa vedere e interpretare ogni cosa attraverso questa lente del sé. Le persone che riescono ad adattare la loro configurazione di base sono spesso descritti come “ben adattati”, che credo non sia un termine casuale.
Considerando la trionfale cornice accademica in cui siamo, viene spontaneo porsi il problema di quanto di questo lavoro di autoregolazione della nostra configurazione di base coinvolga conoscenze effettive e il nostro stesso intelletto. Questo problema è veramente molto complicato. Probabilmente la più pericolosa conseguenza di un’educazione accademica, almeno nel mio caso, è che ha permesso di svilupparmi verso della roba super-intellettualizzata, di perdermi in argomenti astratti dentro la mia testa e, invece di fare semplicemente attenzione a ciò che mi capita sotto al naso, fare solo attenzione a ciò che capita dentro di me.
Come saprete già da un pezzo, è molto difficile rimanere consapevoli e attenti, invece di lasciarsi ipnotizzare dal monologo costante all'interno della vostra testa (potrebbe anche stare succedendo in questo momento). Vent'anni dopo essermi laureato, sono riuscito lentamente a capire che lo stereotipo dell’educazione umanistica che vi “insegna a pensare” è in realtà solo un modo sintetico per esprimere un’idea molto piu significativa e profonda: “imparare a pensare” vuol dire in effetti imparare a esercitare un qualche controllo su come e cosa pensi. Significa anche essere abbastanza consapevoli e coscienti per scegliere a cosa prestare attenzione e come dare un senso all'esperienza. Perché, se non potrete esercitare questo tipo di scelta nella vostra vita adulta, allora sarete veramente nei guai. Pensate al vecchio luogo comune della “mente come ottimo servitore, ma pessimo padrone”. Questo, come molti luoghi comuni, così inadeguati e poco entusiasmanti in superficie, in realtà esprime una grande e terribile verità. Non a caso gli adulti che si suicidano con armi da fuoco quasi sempre si sparano alla testa. Sparano al loro pessimo padrone. E la verità è che molte di queste persone sono in effetti già morte molto prima di aver premuto il grilletto.

E vi dico anche quale dovrebbe essere l’obiettivo reale su cui si dovrebbe fondare la vostra educazione umanistica: come evitare di passare la vostra confortevole, prosperosa, rispettabile vita adulta, come dei morti, incoscienti, schiavi delle vostre teste e della vostra solita configurazione di base per cui “in ogni momento” siete unicamente, completamente, imperiosamente soli. Questo potrebbe suonarvi come un’iperbole o un’astrazione senza senso. Cerchiamo di essere concreti. Il fatto puro e semplice è che voi laureati non avete ancora nessun’idea di cosa “in ogni momento” significhi veramente. Questo perché nessuno parla mai, in queste cerimonie delle lauree, di una grossa parte della vita adulta americana. Questa parte include la noia, la routine e la meschina frustrazione. I genitori e i più anziani tra di voi sapranno anche troppo bene di cosa sto parlando.

Tanto per fare un esempio, prendiamo una tipica giornata da adulto, e voi che vi svegliate la mattina, andate al vostro impegnativo lavoro da colletto-bianco-laureato-all'università, e lavorate duro per otto o dieci ore, fino a che, alla fine della giornata, siete stanchi e anche un po’ stressati e tutto ciò che vorreste sarebbe di tornarvene casa, godervi una bella cenetta e forse rilassarvi un po’ per un’oretta, per poi ficcarvi presto nel vostro letto perché, evidentemente, dovrete svegliarvi presto il giorno dopo per ricominciare tutto da capo. Ma, a questo punto, vi ricordate che non avete nulla da mangiare a casa. Non avete avuto tempo di fare la spesa questa settimana a causa del vostro lavoro così impegnativo, per cui, uscendo dal lavoro, dovete mettervi in macchina e guidare fino al supermercato. È l’ora di punta e il traffico è parecchio intenso. Per cui per arrivare al supermercato ci mettete moltissimo tempo, e quando finalmente arrivate, lo trovate pieno di gente, perché naturalmente è proprio il momento del giorno in cui tutti quelli che lavorano come voi cercano di sgusciare in qualche negozio di alimentari. E il supermercato è disgustosamente illuminato e riempito con della musica di sottofondo abbrutente o del pop commerciale, ed è proprio l’ultimo posto in cui vorreste essere, ma non potete entrare e uscire rapidamente, vi tocca vagare su e giù tra le corsie caotiche di questo enorme negozio super-illuminato per trovare la roba che volete e dovete manovrare con il vostro carrello scassato nel mezzo delle altre persone, anche loro stanche e di fretta come voi, con i loro carrelli (eccetera, eccetera, ci do' un taglio poiché è una cerimonia piuttosto lunga) e alla fine riuscite a raccogliere tutti gli ingredienti della vostra cena, e scoprite che non ci sono abbastanza casse aperte per pagare, anche se è l’ora-di-punta-di-fine-giornata. Cosi la fila per pagare è incredibilmente lunga, che è una cosa stupida e che vi fa arrabbiare. Ma voi non potete sfogare la vostra frustrazione sulla povera signorina tutta agitata alla cassa, che è super-stressata da un lavoro la cui noia quotidiana e insensatezza supera l’immaginazione di ognuno di noi qui in questa prestigiosa Università.

Ma in ogni modo, finalmente arrivate in fondo a questa fila, pagate per il vostro cibo, e vi viene detto “buona giornata” con una voce che è proprio la voce dell’oltretomba. Quindi dovete portare quelle orrende, sottili buste di plastica del supermercato nel vostro carrello con una ruota impazzita che spinge in modo esasperante verso sinistra, di nuovo attraverso il parcheggio affollato, pieno di buche e di rifiuti, e guidare verso casa di nuovo attraverso il traffico dell’ora di punta, lento, intenso, pieno di SUV, ecc.

A tutti noi questo è capitato, certamente. Ma non è ancora diventato parte della routine della vostra vita effettiva di laureati, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, anno dopo anno. Ma lo sarà. E inoltre ci saranno tante altre routine apparentemente insignificanti, noiose e fastidiose. Ma non è questo il punto. Il punto è che è proprio con stronzate meschine e frustranti come questa che interviene la possibilità di scelta. Perché il traffico e le corsie affollate del supermercato e la lunga coda alla cassa mi danno il tempo di pensare, e se io non decido in modo meditato su come pensare e a cosa prestare attenzione, sarò incazzato e infelice ogni volta che andrò a fare la spesa. Perché la mia naturale configurazione di base è la certezza che situazioni come questa riguardino solo me. La MIA fame e la MIA stanchezza e il MIO desiderio di andarmene a casa, e mi sembrerà che ogni altra persona al mondo stia lì ad ostacolarmi. E chi sono poi queste persone che mi ostacolano? E guardate come molti di loro sono repellenti, e come sembrano stupidi e bovini e con gli occhi spenti e non-umani nella coda alla cassa, o anche come è fastidioso e volgare che le persone stiano tutto il tempo a urlare nei loro cellulari mentre sono nel mezzo della fila. E guardate quanto tutto ciò sia profondamente e personalmente ingiusto.

Oppure, se la mia configurazione di base è più vicina alla coscienza sociale e umanistica, posso passare un bel po’ di tempo nel traffico di fine giornata a essere disgustato da tutti quei grossi, stupidi SUV e Hummers e furgoni con motori a 12 valvole, che bloccano la strada e consumano il loro costoso, egoistico serbatoio da 40 galloni di benzina, e posso anche soffermarmi sul fatto che gli adesivi patriottici e religiosi sembrano essere sempre sui veicoli più grandi e più disgustosamente egoisti, guidati dai più brutti, più incoscienti e aggressivi dei guidatori. (Attenzione, questo è un esempio di come NON bisogna pensare…) E posso pensare che i figli dei nostri figli ci disprezzeranno per aver sprecato tutto il carburante del futuro e avere probabilmente fottuto il clima, e che noi tutti siamo viziati e stupidi ed egoisti e ripugnanti, e che la moderna civiltà dei consumi faccia proprio schifo, e così via.

Avete capito l’idea.

Se scelgo di pensare in questo modo in un supermercato o sulla superstrada, va bene. Un sacco di noi lo fanno. Tranne che il fatto di pensare in questo modo diventa nel tempo così facile e automatico che non è più nemmeno una vera scelta. Diventa la mia configurazione di base. È questa la modalità automatica in cui vivo le parti noiose, frustranti, affollate della mia vita da adulto, quando sto operando all'interno della convinzione automatica e inconscia di essere il centro del mondo, e che i miei bisogni e i miei sentimenti prossimi sono ciò che determina le priorità del mondo intero.

In realtà, naturalmente, ci sono molti modi diversi di pensare in questo tipo di situazioni. Nel traffico, con tutte queste macchine ferme e immobili davanti a me, non è impossibile che una delle persone nei SUV abbia avuto un orribile incidente d’auto nel passato, e adesso sia cosi terrorizzata dal guidare che il suo terapista le ha ordinato di prendere un grosso e pesante SUV, così che possa sentirsi abbastanza sicura quando guida. O che quell’Hummer che mi ha appena tagliato la strada sia forse guidato da un padre il cui figlio piccolo è ferito o malato nel sedile accanto a lui, e stia cercando di portarlo in ospedale, ed abbia quindi legittimamente molto più fretta di me: in effetti sono io che blocco la SUA strada.

Oppure posso sforzarmi di considerare la possibilità che tutti gli altri nella fila alla cassa del supermercato siano stanchi e frustrati come lo sono io, e che alcune di queste persone probabilmente abbiano una vita molto più dura, noiosa e dolorosa della mia.

Di nuovo, vi prego di non pensare che vi stia dando dei consigli morali, o vi stia dicendo che dovreste pensare in questo modo, o che qualcuno si aspetta da voi che lo facciate. Perché è difficile. Richiede volontà e fatica, e se voi siete come me, in certi giorni non sarete capaci di farlo, o più semplicemente non ne avrete voglia.

Ma molte altre volte, se sarete abbastanza coscienti da darvi la possibilità di scegliere, voi potrete scegliere di guardare in un altro modo a questa grassa signora super-truccata e con gli occhi spenti che ha appena sgridato il suo bambino nella coda alla cassa. Forse non è sempre così. Forse è stata sveglia per tre notti di seguito tenendo la mano del marito che sta morendo di un cancro alle ossa. O forse questa signora è l’impiegata meno pagata della motorizzazione, che proprio ieri ha aiutato vostra moglie a risolvere un orribile e snervante problema burocratico con alcuni piccoli atti di gentilezza amministrativa.

Va bene, nessuno di questi casi è molto probabile, ma non è nemmeno completamente impossibile. Dipende da cosa volete considerare. Se siete automaticamente sicuri di sapere cos'è la realtà, e state operando sulla base della vostra configurazione di base, allora voi, come me, probabilmente non avrete voglia di considerare possibilità che non siano fastidiose e deprimenti. Ma se imparate realmente a concentrarvi, allora saprete che ci sono altre opzioni possibili. Avrete il potere di vivere una lenta, calda, affollata esperienza da inferno del consumatore, e renderla non soltanto significativa, ma anche sacra, ispirata dalle stesse forze che formano le stelle: amore, amicizia, la mistica unità di tutte le cose fuse insieme. Non che la roba mistica sia necessariamente vera. La sola cosa che è Vera con la V maiuscola è che sta a voi decidere di vederlo o meno.

Questa, credo, sia la libertà data da una vera educazione, di poter imparare ad essere “ben adattati”. Voi potrete decidere con coscienza che cosa ha significato e che cosa non lo ha. Potrete scegliere in cosa volete credere. Ed ecco un’altra cosa che può sembrare strana, ma che è vera: nella trincea quotidiana in cui si svolge l’esistenza degli adulti non c’è posto per una cosa come l’ateismo. Non è possibile non adorare qualche cosa. Tutti credono. La sola scelta che abbiamo è su che cosa adorare. E forse la più convincente ragione per scegliere qualche sorta di dio o una cosa di tipo spirituale da adorare – sia essa Gesù Cristo o Allah, sia che abbiate fede in Geova o nella Santa Madre Wicca, o nelle Quattro Nobili Verità, o in qualche inviolabile insieme di principi etici – è che praticamente qualsiasi altra cosa in cui crederete finirà per mangiarvi vivo. Se adorerete il denaro o le cose, se a queste cose affiderete il vero significato della vita, allora vi sembrerà di non averne mai abbastanza. È questa la verità. Adorate il vostro corpo e la bellezza e l’attrazione sessuale e vi sentirete sempre brutti. E quando i segni del tempo e dell’età si cominceranno a mostrare, voi morirete un milione di volte prima che abbiano ragione di voi. Ad un certo livello tutti sanno queste cose. Sono state codificate in miti, proverbi, luoghi comuni, epigrammi, parabole, sono la struttura di ogni grande racconto. Il trucco sta tutto nel tenere ben presente questa verità nella coscienza quotidiana.
Adorate il potere, e finirete per sentirvi deboli e impauriti, e avrete bisogno di avere sempre più potere sugli altri per rendervi insensibili alle vostre proprie paure. Adorate il vostro intelletto, cercate di essere considerati intelligenti, e finirete per sentirvi stupidi, degli impostori, sempre sul punto di essere scoperti. Ma la cosa insidiosa di queste forme di adorazione non è che siano cattive o peccaminose, è che sono inconsce. Sono la configurazione di base.

Sono forme di adorazione in cui scivolate lentamente, giorno dopo giorno, diventando sempre più selettivi su quello che volete vedere e su come lo valutate, senza essere mai pienamente consci di quello che state facendo.

E il cosiddetto “mondo reale” non vi scoraggerà dall'operare con la configurazione di base, poiché il cosiddetto “mondo reale” degli uomini e del denaro e del potere canticchia allegramente sul bordo di una pozza di paura e rabbia e frustrazione e desiderio e adorazione di sé. La cultura contemporanea ha imbrigliato queste forze in modo da produrre una ricchezza straordinaria e comodità e libertà personale. La libertà di essere tutti dei signori di minuscoli regni grandi come il nostro cranio, soli al centro del creato. Questo tipo di libertà ha molti lati positivi. Ma naturalmente vi sono molti altri tipi di libertà, e del tipo che è il più prezioso di tutti, voi non sentirete proprio parlare nel grande mondo esterno del volere, dell’ottenere e del mostrarsi. La libertà del tipo più importante richiede attenzione e consapevolezza e disciplina, e di essere veramente capaci di interessarsi ad altre persone e a sacrificarsi per loro più e più volte ogni giorno in una miriade di modi insignificanti e poco attraenti.

Questa è la vera libertà. Questo è essere istruiti e capire come si pensa. L’alternativa è l’incoscienza, la configurazione di base, la corsa al successo, il senso costante e lancinante di aver avuto, e perso, qualcosa di infinito.

Lo so che questa roba probabilmente non vi sembrerà molto divertente o ispirata, come un discorso per questo di genere di cerimonie dovrebbe sembrare. In questo consiste però, per come la vedo io, la Verità con la V maiuscola, scrostata da un sacco di stronzate retoriche. Certamente, siete liberi di pensare quello che volete di tutto questo. Ma per favore non scartatelo come se fosse una sermone ammonitorio alla Dr. Laura. Niente di questa roba è sulla morale o la religione o il dogma o sul grande problema della vita dopo la morte. La Verità con la V maiuscola è sulla vita PRIMA della morte. È sul valore reale di una vera istruzione, che non ha quasi nulla a che spartire con la conoscenza e molto a che fare con la semplice consapevolezza, consapevolezza di cosa è reale ed essenziale, ben nascosto, ma in piena vista davanti a noi, in ogni momento, per cui non dobbiamo smettere di ricordarci più e più volte: “Questa è acqua, questa è acqua.”

È straordinariamente difficile da fare, rimanere coscienti e consapevoli nel mondo adulto, in ogni momento. Questo vuol dire che anche un altro dei grandi luoghi comuni finisce per rivelarsi vero: la vostra educazione è realmente un lavoro che dura tutta la vita. E comincia ora.

Auguro a tutti una grossa dose di fortuna. "
(David Foster Wallace)

...thanks to Roberto NATALINI per la traduzione... ;)

giovedì 25 novembre 2010

" RIBELLATEVI! "

"Le critiche al Partito democratico io esito molto ad esprimerle perché la sinistra è troppo piena di gente che per sentirsi intelligente ha bisogno di segare il ramo su cui è seduta. Ma c’è alla base qualcosa su cui oggi è molto importante ragionare. Io vedo ancora una relativa debolezza della nostra risposta al grandissimo interrogativo che si è aperto sulla vicenda storica dell’Italia. Detto senza enfasi: sul destino degli italiani. Questo è il tema che sta dietro la vicenda Berlusconi. Sta qui il cuore del conflitto, cioè di come si configura la lotta tra progresso e reazione a fronte di quella che è ormai chiaramente una crisi della nazione.

La gente non è stupida. Capisce che, arrivati a questo punto, l’uscita di scena di Berlusconi è una necessità vitale ma sente che il problema è più complesso. Intuisce che il “Caimano” è, dopotutto, la febbre non la malattia. Quale malattia? Il fatto drammatico che per troppo tempo abbiamo cercato di non vedere e che, per certi aspetti, ci rimanda ai secoli della grande decadenza italiana. A prima del Risorgimento, quando Metternich considerava l’Italia «una espressione geografica», governata come era da tante Padanie, piccoli regni e ducati tenuti in piedi dallo straniero. Quando non eravamo un popolo libero ma una plebe che delegava la politica ai preti tanto da pensare che «Franza o Spagna purchè se magna».

L’attuale degrado dell’etica pubblica non è poi una grande novità. Questo è il dramma che sta avvenendo sotto i nostri occhi. La vita dei nostri figli e nipoti si sta già impoverendo, stiamo già uscendo dal club dei grandi che contano. E se dopo 150 anni da Porta Pia viene in discussione l’unità della nazione, una conseguenza è certa: il destino della gioventù italiana sarà irrilevante. I nostri figli resteranno ai margini del mondo nuovo. Qualcuno sta parlando così agli italiani? Sta dicendo così chiaramente che si è aperto uno «stato di eccezione» (come una guerra) e che nient’altro che questo impone un governo di “eccezione”, cioè di salvezza nazionale? Semplicemente questo è il problema che Bersani sta cercando di affrontare, certo alla sua maniera.

C’è così tanto da ridire? Però è vero che il messaggio di Bersani è oscurato da troppe cose. Intanto dalle divisioni interne al Partito democratico. Chi comanda? È difficile affidarsi a un partito il quale è talmente democratico che non conta nulla essere stato eletto segretario da 3 milioni di persone. Chiunque può invocare le “primarie” per rimettere tutto in discussione. Si ammetterà che non è facile guidare in queste condizioni una delicata iniziativa politica di “salvezza nazionale”.

Noi siamo ancora al punto che il primo che passa ci sfotte perché dice che non è chiaro se siamo alleati col “centro” oppure con la “sinistra”. Ma non è chiaro a chi? Certo a chi pensa che siamo nell'Inghilterra di Westminister e che Vendola è Gladston e Casini Disraeli. Come non si capisce che è la decadenza dell’Italia che chiede l’unità più larga in nome di riforme e cambiamenti radicali? I quali, però, sono sostenibili solo se qualcuno acquista l’autorità politica e morale per fare appello non solo a Vendola o a Casini ma alle energie profonde del paese, ovunque siano collocate.

Temo che una buona fetta del PD non abbia capito nemmeno che questa è la ragione d’essere di un partito nuovo rispetto ai partiti che fecero la Prima repubblica. È il nostro ruolo storico, è il terreno su cui possiamo affermare la nostra egemonia («vocazione maggioritaria», direbbe Veltroni) rispetto a una destra antinazionale, al leghismo, a formazioni neo-borboniche, a nuovi centri notabilari . Per non parlare di un’altra fetta del Pd che invece è affascinata dalle “narrazioni” di Nichi Vendola. Ma che cosa sta narrando questo mio vecchio amico pugliese? Io capisco tante cose, ne condivido perfino alcune. Ma anche Nichi mi sembra sostanzialmente fuori tema. Se non lo fosse si sarebbe assunto la responsabilità (forte anche della sua funzione di governatore della Puglia) di cominciare a rielaborare il nostro vecchio impianto della questione meridionale. Almeno in questo il Nord ha ragione, nel non accettare più il vecchio modo di stare insieme degli italiani.

È affrontando un tema come questo che si diventa leader di una sinistra unita. Io non so fare previsioni. So che la cricca che si è raccolta intorno a Berlusconi è disposta a tutto, perfino a tenersi stretta la camorra che controlla la “monezza” napoletana pur di non mollare il potere e le ricchezze su cui ha messo le mani. So però che le cose sono arrivate al punto che viene in campo, come bisogno storico, anche un’altra possibilità. È il bisogno di dare all’Italia quello che io chiamo un partito della nazione. Non un’altra reincarnazione della sinistra storica. Deve essere una forza nuova, capace di esprimere davvero una nuova “narrazione” circa il ruolo che un’Italia unita e progressista potrebbe avere in Europa e nel mondo. Non so che fine farà l'operazione politica e l’ipotesi di governo di cui parla Bersani. In ogni caso ricordiamoci che la politica non si esaurisce nella formazione dei governi. Dopo il lungo ciclo berlusconiano è tempo che la politica democratica torni ad essere la fucina di un “movimento reale”, quel tipo di movimento che «cambia lo stato di cose esistenti». È questo stato di cose che bisogna cambiare.

E le condizioni per farlo a me sembra che si stiano accumulando. Quando giro l’Italia e incontro la gente, la cosa che più mi colpisce è la situazione dei giovani. Un immenso deposito di energie e di creatività sprecato, umiliato, (davvero “rottamato”) delle logiche attuali di mercato: il denaro fatto col denaro, un’immensa rendita che grava sui produttori della ricchezza reale per pagare i lussi faraonici di un’oligarchia finanziaria. Così, alla maggioranza dei giovani resta solo il lavoro precario. Per colpa anche di noi vecchi che sulle loro spalle abbiamo trasferito l’onere di pagare l’immenso debito pubblico accumulato. Quindi non c’è per loro futuro, speranza, innovazione. Ribellatevi. Le vicende di ieri sono un buon segno." (Alfredo Reichlin)

lunedì 30 novembre 2009

" ...ai nostri figli? Senza alcuna alternativa? "

"Figlio mio, stai per finire la tua Università; sei stato bravo. Non ho rimproveri da farti. Finisci in tempo e bene: molto più di quello che tua madre e io ci aspettassimo. È per questo che ti parlo con amarezza, pensando a quello che ora ti aspetta. Questo Paese, il tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio.

Puoi solo immaginare la sofferenza con cui ti dico queste cose e la preoccupazione per un futuro che finirà con lo spezzare le dolci consuetudini del nostro vivere uniti, come è avvenuto per tutti questi lunghi anni. Ma non posso, onestamente, nascondere quello che ho lungamente meditato. Ti conosco abbastanza per sapere quanto sia forte il tuo senso di giustizia, la voglia di arrivare ai risultati, il sentimento degli amici da tenere insieme, buoni e meno buoni che siano. E, ancora, l'idea che lo studio duro sia la sola strada per renderti credibile e affidabile nel lavoro che incontrerai.
Ecco, guardati attorno. Quello che puoi vedere è che tutto questo ha sempre meno valore in una Società divisa, rissosa, fortemente individualista, pronta a svendere i minimi valori di solidarietà e di onestà, in cambio di un riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili; di carriere feroci fatte su meriti inesistenti. A meno che non sia un merito l'affiliazione, politica, di clan, familistica: poco fa la differenza.

Questo è un Paese in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista; forse poco più di un millesimo di un grande manager che ha all'attivo disavventure e fallimenti che non pagherà mai. E' anche un Paese in cui, per viaggiare, devi augurarti che l'Alitalia non si metta in testa di fare l'azienda seria chiedendo ai suoi dipendenti il rispetto dell'orario, perché allora ti potrebbe capitare di vederti annullare ogni volo per giorni interi, passando il tuo tempo in attesa di una informazione (o di una scusa) che non arriverà. E d'altra parte, come potrebbe essere diversamente, se questo è l'unico Paese in cui una compagnia aerea di Stato, tecnicamente fallita per non aver saputo stare sul mercato, è stata privatizzata regalandole il Monopolio, e così costringendo i suoi vertici alla paralisi di fronte a dipendenti che non crederanno mai più di essere a rischio.

Credimi, se ti guardi intorno e se giri un po', non troverai molte ragioni per rincuorarti. Incapperai nei destini gloriosi di chi, avendo fatto magari il taxista, si vede premiato - per ragioni intuibili - con un Consiglio di Amministrazione, o non sapendo nulla di elettricità, gas ed energie varie, accede imperterrito al vertice di una Multiutility. Non varrà nulla avere la fedina immacolata, se ci sono ragioni sufficienti che lavorano su altri terreni, in grado di spingerti a incarichi delicati, magari critici per i destini industriali del Paese. Questo è un Paese in cui nessuno sembra destinato a pagare per gli errori fatti; figurarsi se si vorrà tirare indietro pensando che non gli tocchi un posto superiore, una volta officiato, per raccomandazione, a qualsiasi incarico. Potrei continuare all'infinito, annoiandoti e deprimendomi.

Per questo, col cuore che soffre più che mai, il mio consiglio è che tu, finiti i tuoi studi, prenda la strada dell'estero. Scegli di andare dove ha ancora un valore la lealtà, il rispetto, il riconoscimento del merito e dei risultati. Probabilmente non sarà tutto oro, questo no. Capiterà anche che, spesso, ti prenderà la nostalgia del tuo Paese e, mi auguro, anche dei tuoi vecchi. E tu cercherai di venirci a patti, per fare quello per cui ti sei preparato per anni.

Dammi retta, questo è un Paese che non ti merita. Avremmo voluto che fosse diverso e abbiamo fallito. Anche noi. Tu hai diritto di vivere diversamente, senza chiederti, ad esempio, se quello che dici o scrivi può disturbare qualcuno di questi mediocri che contano, col rischio di essere messo nel mirino, magari subdolamente, e trovarti emarginato senza capire perché.

Adesso che ti ho detto quanto avrei voluto evitare con tutte le mie forze, io lo so, lo prevedo, quello che vorresti rispondermi. Ti conosco e ti voglio bene anche per questo. Mi dirai che è tutto vero, che le cose stanno proprio così, che anche a te fanno schifo, ma che tu, proprio per questo, non gliela darai vinta. Tutto qui. E non so, credimi, se preoccuparmi di più per questa tua ostinazione, o rallegrarmi per aver trovato il modo di non deludermi, assecondando le mie amarezze.

Preparati comunque a soffrire.

Con affetto,
tuo padre"

Pier Luigi CELLI
(ex direttore generale della Rai, attualmente direttore generale della Libera Università internazionale degli studi sociali, Luiss Guido Carli)

venerdì 24 luglio 2009

" Leggete e... godetene tutti! "

...dal discorso di Ignazio MARINO per la nuova, sana, vera Italia che sarà!

"Un mio carissimo amico di recente mi ha detto che la bellezza della politica è quando all’improvviso, come accade con una scoperta scientifica, si aprono squarci inaspettati.
Le intelligenze si uniscono, le coscienze si allertano, gli animi si risvegliano.
Ed è per questo che siamo qui, oggi.
Siamo qui perché crediamo che la nostra proposta per il congresso del Partito Democratico possa riprendere in mano lo spirito del Lingotto del 2007 e portarlo avanti. Abbiamo volontà, immaginazione, coraggio, quelle doti che Robert Kennedy definiva parlando della gioventù: “che non è una stagione della vita, ma una categoria del pensiero, una forza di volontà, una dote dell’immaginazione, una predominanza del coraggio sulla timidezza, un desiderio di avventura che prevalga sull’amore per le comodità”.
Quando tre anni fa ho deciso di ritornare in Italia dopo più di vent’anni passati a lavorare in università e ospedali inglesi e americani, confesso che non ero preparato a confrontarmi con l’Italia del 2006. Vivendo all’estero non potevo rendermi conto fino in fondo del significato di tutto quello che leggevo sui giornali e tramite internet.
Un paese “bloccato”, dove la mobilità sociale si è affievolita quasi a scomparire e dove il diritto e l’aspirazione dei figli ad avere una posizione migliore rispetto ai genitori è diventata l’eccezione e non la regola; e dove i nostri ragazzi e le nostre ragazze non possono nemmeno immaginare di emanciparsi, di correre con le proprie gambe senza l’aiuto dei genitori.
Un paese che premia più la furbizia del senso civico e dove accade che venga considerato il migliore colui che riesce a farla franca aggirando le regole.
Un paese dove le “pari opportunità” sono un dipartimento di Palazzo Chigi e non un principio chiaro che dovrebbe riguardare tutti e che significa semplicemente che ognuno, ogni singolo individuo, indipendentemente dal sesso, dall’età, dagli orientamenti personali, dalla condizione sociale, dalla provenienza geografica, deve avere la possibilità di dimostrare quanto vale.
Nel mestiere di chirurgo ho imparato a non fidarmi delle apparenze e per questo ho deciso di mettermi in viaggio, alla ricerca dell’Italia che io conservavo nel cuore e che non trovavo più.
Ho attraversato le regioni da nord a sud, da est a ovest, sono stato negli ospedali, nelle parrocchie, nelle associazioni, nei centri anziani, nelle università…
Ho incontrato persone di grande intelligenza, forza di volontà e dedizione, fortemente ancorate ai principi e alla cultura della solidarietà che caratterizzano l’Italia.
Ho conosciuto tantissime donne che, pur nelle mille difficoltà di una vita professionale precaria, non hanno rinunciato a impegnarsi nel lavoro in un’associazione o nel volontariato… Ragazze, giovani, donne e uomini, che pur affrontando mille ostacoli non si accontentano, non si adattano, mantengono dritto il timone su principi solidi, perché credono nel poter cambiare le cose quando non funzionano.
Molti in queste ultime settimane mi hanno detto: “professore, ma che cosa spera di fare, qui in Italia non cambierà mai niente, sono tutti uguali, e poi la politica è inutile, vogliono solo avere il potere e le poltrone …”.
So bene quanto questi sentimenti siano diffusi, diffusissimi, ma non possiamo adagiarci o, peggio, rassegnarci.È necessario intervenire, agire, esprimere la nostra opinione.
Come ha scritto di recente il Cardinale Carlo Maria Martini, tanto amato in questa città: “un cristiano non si perde in tendenze moderne e in ciò che è alla moda o che tutti vogliono. Dobbiamo aiutare il mondo a trovare una direzione…. Non siamo solo una goccia che nuota nella corrente della società, dobbiamo decidere dove la società debba andare”.
Durante questo mio andare in giro per l’Italia, soprattutto di notte, viaggiando in macchina o in treno, mi attraversava un pensiero: ma che cosa unisce tutte queste persone, qual è il collante che può ridare speranza, entusiasmo, che può fare si che un giovane italiano non consideri la politica come qualche cosa di sporco da cui tenersi alla larga?Quali sono i valori, POCHI, CHIARI, IRRINUNCIABILI, in cui tanti si possono riconoscere? Qual è il principio che rappresenta il faro per tutti coloro che guardano al Partito Democratico come al loro naturale riferimento politico?
Veniamo al punto: perché il PD ha scelto proprio la parola “democratico” per definire la sua identità?
Democratico non è un aggettivo qualificativo e non è nemmeno una banalità.
Non voglio ripercorrere la storia del nostro paese, ma c’è voluto del tempo perché nel pensiero politico si affermasse l’idea che la democrazia rappresenti compiutamente un’opportunità di progresso e di crescita per la società. Ancora oggi, lo vediamo, chi governa il paese vive spesso con fastidio i processi che uno stato democratico come il nostro si è dato attraverso la Costituzione.
Come senatore, in questa legislatura, mi sono trovato, nel 95% dei casi, a giudicare con il mio voto provvedimenti emanati dal Governo e non leggi di iniziativa parlamentare. Stiamo assistendo, quasi senza reagire, a una sorta di cambiamento materiale della Costituzione.E spetta a noi, che siamo in questo momento all’opposizione, vigilare, denunciare e contrastare ogni tentativo di ridurre gli spazi della democrazia e riaffermare che una democrazia fondata su procedure chiare e regole certe, è sorella della decisione e non sua nemica. La decisione plebiscitaria, solitaria e non trasparente sarà sempre sottoposta alla pressione di lobby e forze potenti, che alla fine la renderanno contraddittoria, fragile ed esposta alle più varie contestazioni. La vera democrazia, invece, coinvolge e decide. E l’Italia ha bisogno di una classe dirigente che sia nelle condizioni di poter decidere.D’altra parte, nel 2007, quando abbiamo fondato il PD, abbiamo proclamato a voce alta e con convinzione che ogni traguardo può essere raggiunto utilizzando le procedure e attivando le risorse della democrazia. Da qui discende tutto.
* Non c’è vera democrazia, infatti, se si conosce già il nome e il cognome di chi otterrà un posto all’università o un finanziamento per la ricerca ancora prima che il concorso venga bandito;
* non c’è democrazia se vengono trattati come delinquenti uomini e donne che hanno la sola colpa di essere gli ultimi della terra;
* non c’è democrazia se la scuola pubblica non è in grado di assicurare a tutti i bambini e ragazzi, lo stesso livello di qualità dell’istruzione;
* non c’è democrazia se un cittadino deve prendere il treno e andarsene dalla propria terra, lontano dai propri affetti, per curarsi da una grave malattia;
* non c’è democrazia se un imprenditore non può esercitare la propria attività in un mercato trasparente e libero, dove le regole sono rispettate e la concorrenza protetta;
* non c’è democrazia se economia, diritti, ambiente in una parte dello Stato sono soffocati dalla criminalità organizzata.
In estrema sintesi: non c’è vera democrazia se non rimettiamo al centro dei nostri pensieri e delle nostre azioni la persona!
L’Italia ha bisogno di tornare a prendersi cura della propria democrazia.
Ha bisogno di includere un maggior numero di cittadini nelle decisioni collettive e nella vita pubblica, ha bisogno di rafforzare la propria comunità nazionale per avere un ruolo chiaro nel mondo globalizzato.
A volte, non dobbiamo nascondercelo, anche il PD è apparso assai poco democratico… Il progetto iniziale si è appannato, è diventato confuso agli occhi di chi ci guarda.
È ora di rilanciare quel progetto, arricchirlo e correggere gli errori commessi.
Ricordiamo Antonio Gramsci quando nei Quaderni del carcere scriveva: “nel succedersi delle generazioni può avvenire che si abbia una generazione anziana dalle idee antiquate e una generazione giovane dalle idee infantili, che cioè manchi l’anello storico intermedio, la generazione che abbia potuto educare i giovani”…
E allora, la fase congressuale che stiamo avviando in queste settimane rappresenta una grande opportunità per mettere alla prova il valore della democrazia in cui crediamo.
Noi crediamo in un partito che metta gli elettori e i circoli al primo posto. Un partito la cui identità sia riconoscibile e credibile. Un partito che punti alla partecipazione più estesa e, al contempo, sappia offrire con chiarezza il senso delle proprie posizioni.
Vogliamo FARE il nostro partito e VIVERLO: un partito che si dia delle regole comprensibili, semplici e che le rispetti. Un partito che sappia denunciare le cose che non vanno, che si impegni con coraggio per cambiare questo Paese.
Un proverbio arabo dice che “il genere umano si divide in tre classi: gli inamovibili, quelli che sono mossi, e quelli che muovono”. Bene, noi siamo quelli che muovono.
Molti che avevano guardato al PD con speranza e che avevano perso entusiasmo lungo la strada, stanno rimettendosi in gioco.Se riusciremo a far crescere il senso di appartenenza, di fiducia, la consapevolezza che non è vero che le cose non cambieranno mai, avremo reso un enorme servizio al nostro partito ma soprattutto al nostro Paese.
Voglio subito sgombrare il campo da due questioni che forse preoccupano alcuni: io partecipo alle primarie del Pd per diventare segretario del partito e per arricchire il dibattito congressuale. Su questo punto sia chiaro a tutti che non faremo accordi, la mia candidatura non è e non sarà merce di scambio: la squadra che stiamo costruendo, e che si arricchirà nelle prossime settimane, ha questo unico obiettivo e lavora in quest’ottica.
In secondo luogo, la laicità: ci sarà tempo per parlare in maniera approfondita dei tanti temi che ci stanno a cuore, ma tengo a dire che la laicità, per come la vedo io, E’ UN METODO. Significa affrontare ogni questione con rigore, nell’interesse generale e non di una parte sola. Significa porsi nel dibattito non pensando di possedere la verità. Significa saper ascoltare le ragioni altrui e avere l’umiltà e l’intelligenza di confrontarsi anche con chi la pensa nella maniera opposta. Infine, laicità significa che quando si chiude il dibattito, e si è presa una decisione, la si accetta sentendosi vincolati e sostenendola con lealtà.
Il nostro progetto che è stato elaborato da una squadra di persone libere, appassionate, che, a differenza di altre squadre, non ha dovuto tenere conto di mille equilibri o tentare acrobazie tra posizioni inconciliabili. Una squadra che voglio ringraziare, e che ha lavorato con spirito di servizio, quello spirito che dovrebbe caratterizzare chi ama la politica.Un grazie va a Goffredo Bettini che con questo stesso spirito è stato uno degli ispiratori nel fondare il PD nel 2007 e che ci ha motivato e non ci ha mai fatto mancare il suo lucido apporto perché si riprenda la strada smarrita.
Il progetto che presentiamo oggi, ci tengo a dirlo, è il punto di partenza. Da qui, oggi, vogliamo lanciare delle idee che saranno arricchite nelle prossime settimane con il contributo dei circoli democratici e di tutti coloro che vorranno partecipare.
Non un gruppo ristretto che in stanze chiuse parla della gente, ma un gruppo aperto che nei luoghi di incontro parla con la gente.
Non ripercorro l’intero programma ma ci sono alcune proposte qualificanti e rappresentative delle nostre priorità. Sono proposte sulle quali abbiamo l’ambizione di impegnarci anche con specifici disegni di legge che presenteremo in Parlamento: proposte per l’economia, per il lavoro, per la sicurezza, per la comunicazione e per i diritti.
Partiamo dagli strumenti anti-crisi: una crisi destinata a durare a lungo e che impone un cambiamento del modo di pensare l’economia, la produzione, il lavoro, il consumo. La bolla finanziaria ha segnato il culmine di una fase in cui la ricchezza si è distaccata dal lavoro delle donne e degli uomini e in cui si sono sprecate risorse che rendono vivibile il nostro pianeta: l’aria, l’acqua, il cibo, la terra.Da un lato del mondo si spendono milioni di euro per curare pochi privilegiati, dall’altro non si riescono a organizzare e a finanziare programmi che potrebbero salvare milioni di vite.Il progresso scientifico non può essere di per sé sufficiente per farci sperare in un futuro sereno. La fiducia nella scienza non può bastare se interi continenti vengono esclusi dal cammino che porta a un miglioramento delle condizioni di vita.
Se non impariamo a ragionare in un’ottica di vasi comunicanti, il progresso porterà a un divario sempre più ampio tra il nord e il sud del mondo, ma anche tra chi è ricco e chi non lo è all’interno di uno stesso paese, tra i privilegiati e gli ultimi della terra. E dal divario nasceranno divisioni, sfiducia, tensioni, violenze, guerre. Affinché l’incontro di questi mondi avvenga con un accostarsi dolce e non con una scossa di violenza inaudita, è necessario essere riformisti ma con un’anima rivoluzionaria.
E’ l’esempio che ci trasmettono gli Stati Uniti di Barack Obama: l’America non si è limitata a stabilire nuove regole per un’economia finanziaria fuori controllo, ma sta costruendo i suoi interventi sull’economia reale: scuola, università, ricerca, economia verde, sanità, grandi investimenti nelle telecomunicazioni…
Solo l’Europa poteva proporsi obiettivi di pari ambizione strategica: penso ad esempio ad un consorzio energetico solare tra i paesi del Mediterraneo per creare un nuovo giacimento energetico rinnovabile. In Europa purtroppo ha prevalso una linea rinunciataria, di coordinamento debole, quando sarebbe stata necessaria una nuova e forte strategia di rilancio.
Il Partito Democratico deve essere all’avanguardia in Europa rafforzando la democrazia europea, promuovendo una forte integrazione politica, coinvolgendo al massimo territori e società civile.
L’imperativo è: superare la crisi modernizzando il Paese.
In quest’ottica noi poniamo due settori al centro dell’economia dell’innovazione: ambiente e salute.
Ambiente e salute sono beni comuni, fondamentali per la qualità della vita.
Ambiente e salute sono due settori con straordinari potenziali di innovazione, capaci di attirare investimenti ad alto contenuto tecnologico e nei quali sta crescendo un’occupazione qualificata. Basti pensare alle energie rinnovabili, al recupero dei rifiuti, al risparmio idrico, alla bio-edilizia, alla mobilità sostenibile, oppure, sul fronte della salute, ai servizi e alla diagnostica per la cura del corpo, alla trasmissione di un corretto stile di vita come fattore di prevenzione e quindi anche di contenimento della spesa.
Puntiamo a un processo democratico e partecipativo per la riduzione del consumo di energia, che sensibilizzi la popolazione e sappia incentivare le imprese; mettiamo un ordine di priorità nel trattare i rifiuti; proponiamo un sistema degli appalti verdi in tutte le forniture della Pubblica Amministrazione, a cominciare dalle realtà amministrate dal PD; riduciamo l’IVA sui prodotti ecologici e soprattutto avviamo un piano scuola per promuovere tra i giovanissimi la cultura della sostenibilità, del riciclo e del rispetto dell’ambiente.
Esistono in Italia imprese che stanno sperimentando tecnologie innovative in termini di produzione di energia e che meriteranno di essere valutate con tutte le associazioni responsabilmente impegnate nella difesa dei nostri territori. Penso a utilizzare gli scarti dell’agricoltura (biomasse) in forme dedicate per la produzione di energia, o a studiare la possibilità di catturare il vento con l’eolico di alta quota, che produce energia attraverso un aquilone ad altezze dieci volte maggiori di una classica pala eolica, senza alterare i valori culturali ed economici del paesaggio. Penso all’energia geotermica e a quella di terza generazione, che in un futuro prossimo consentirà di estrarre calore dalle rocce profonde. Penso al solare a concentrazione, l’idea sviluppata da Carlo Rubbia e purtroppo abbandonata in Italia, mentre se ne cominciano a vedere i frutti in Spagna e in Germania.
Per quanto riguarda la salute, va ribadito che l’accesso a tutte le prestazioni del Servizio Sanitario Nazionale è universale, senza discriminazioni. Ma se vogliamo continuare a contare su un servizio pubblico di qualità dobbiamo attivare efficaci politiche di prevenzione e di promozione della salute e di stili di vita corretti, perché l’unico modo per rendere sostenibile anche dal punto di vista finanziario il nostro sistema sanitario è ridurre il numero delle persone che si ammalano o che convivono con malattie croniche.
La rete ospedaliera deve essere riqualificata, promuovendo gli ospedali di alta specializzazione e riconvertendo gli ospedali minori in centri di riabilitazione, in ambulatori per le visite specialistiche e per la diagnostica, in residenze per gli anziani, in centri per la salute mentale, in hospice affidati anche al privato no-profit. Il lavoro dei medici di famiglia va riorganizzato in cooperative o studi associati.
Non sto parlando di progetti irrealizzabili, ma della possibilità concreta di creare eccellenza ed efficienza di cui già abbiamo esperienze. Come a Fiorenzuola D’Arda, in provincia di Piacenza, dove l’assistenza di base è stata organizzata con la medicina di gruppo, superando l’abitudine dei medici di famiglia a lavorare da soli. In sette si sono riuniti in un’unica struttura, aperta dodici ore al giorno e dotata anche di un ambulatorio specialistico e uno infermieristico. In pratica, quando un paziente entra nell’ambulatorio incontra una persona che lo aiuta con tutte le questioni burocratiche e nello stesso luogo trova un’infermiera che si occupa delle medicazioni, del controllo della pressione, delle iniezioni. Quella stessa infermiera è sempre in contatto con i malati, così si evitano i pellegrinaggi da un posto all’altro.
Ma nella sanità, come in tutti gli altri ambiti, dalla scuola all’amministrazione pubblica, vanno introdotti sistemi di valutazione basati sull’efficienza ma soprattutto sulla qualità.
Se per esempio un professore della scuola media che viene valutato dimostra impegno e capacità nel trasmettere valori positivi agli studenti, perché non prevedere strumenti per motivarlo nel suo importantissimo lavoro?
Oggi tutto è misurabile e la valutazione e le verifiche sono sistemi indispensabili che nel nostro paese non funzionano correttamente e che invece contribuirebbero ad alimentare quella “cultura del merito” di cui purtroppo siamo ancora carenti.
Voglio insistere su questo punto: vanno ridefinite le modalità con cui vengono selezionate le persone che ricoprono ruoli di responsabilità. Parlo dei vertici degli ospedali ma anche delle aziende pubbliche nazionali e locali, della RAI, insomma di tutta la classe dirigente del nostro paese. TUTTI devono essere scelti sulla base di un sistema trasparente che valuti esclusivamente la formazione, la competenza, il merito e che ponga obiettivi verificabili: se vengono raggiunti, il lavoratore dovrà essere premiato, anche economicamente.
BASTA con l’occupazione dello Stato da parte degli interessi personali.
BASTA con le raccomandazioni e con le ingerenze della politica e degli altri poteri che hanno rovinato questo paese.
Il sistema di valutazione deve partire proprio dalla politica:
BASTA con le liste bloccate, ridiamo agli elettori la possibilità di scegliere i propri rappresentanti, costruiamo un rapporto stabile tra il parlamentare e il suo territorio, chiediamo che chi siede in Parlamento sia incensurato, valutato e anche retribuito sulla base della qualità e intensità del suo operato.
È mai possibile che su 60 milioni di abitanti non riusciamo a trovarne 945 da eleggere che non abbiano problemi con la giustizia??
Un’altra questione che per noi è una priorità riguarda il lavoro: in questi ultimi anni sempre più associato all’idea di “problema”. Colpa del precariato e delle poche opportunità offerte alle nuove generazioni…
Le famiglie attraversano un periodo di grande disagio dovuto soprattutto alla preoccupante ripresa della disoccupazione. Non credo di sbagliarmi quando affermo che per molti, a partire da me, il lavoro rappresenta un valore importantissimo, un’opportunità di realizzazione personale, non solo un mezzo da cui ricavare un ritorno esclusivamente economico.
La flessibilità, inevitabile nella nostra modernità, non va considerata come una disgrazia. Le ragazze e i ragazzi che oggi entrano nel mercato del lavoro non sognano necessariamente il posto fisso, anzi probabilmente si spaventerebbero al pensiero di dover costruire la loro vita professionale all’interno della stessa azienda per trenta o quarant’anni.
Quello che i giovani temono è la disoccupazione e il precariato privo di regole; quello che percepiscono è l’iniquità di un mercato del lavoro che mette gomito a gomito lavoratori protetti e lavoratori che invece vivono in uno stato di totale instabilità, talvolta addirittura privi anche di diritti elementari quali la malattia, la maternità, le ferie.
Pur accettando le esigenze contemporanee dobbiamo estendere il livello di garanzie, per dare a tutti una maggiore tranquillità e serenità, che consenta di realizzare il proprio talento al massimo delle proprie potenzialità…
Pensiamo che la strada da seguire sia: un contratto di lavoro unico a tempo indeterminato, un salario minimo garantito come avviene in tutti i principali paesi europei e un reddito minimo di solidarietà.
La formazione continua deve diventare un vero e proprio diritto cosicché si esca da ogni esperienza lavorativa arricchiti, per capacità e maturità, facendo leva su una responsabilità individuale a diventare nel tempo risorsa più pregiata e ricercata sul mercato del lavoro…
Serve però un po’ d’ordine e di collaborazione e NON SFUGGE che anche dentro il sindacato sia in corso una discussione costruttiva per arrivare a una nuova elaborazione su questi temi.
Assieme al sindacato dobbiamo condurre anche un’altra importantissima battaglia: quella della sicurezza sul lavoro.
È un problema tragico, che dobbiamo eradicare rendendo più efficaci i controlli, inasprendo le sanzioni e facendo in modo che siano applicate con certezza, prevedendo incentivi per le aziende virtuose e promuovendo una vera cultura della sicurezza.
Non è solo una questione di incidenti, DI LAVORO muoiono ogni anno migliaia di persone: oltre tre mila a causa dell’amianto… persone colpite da quelle che vengono definite malattie professionali, persone bisognose di tutela, che spesso però vengono dimenticate.
A volte ripenso a quando, negli anni ’80, sono partito per gli Stati Uniti, lasciando dietro di me la tranquilla prospettiva di un posto fisso all’università.
Ho fatto un salto nel vuoto passando dalle certezze assolute, all’assoluta precarietà: contratto di un anno, permesso di soggiorno temporaneo, casa provvisoria… certo, avevo il sogno di imparare a fare i trapianti e questo riempiva di felicità le mie giornate…
Alla fine del primo anno in America, quando venni chiamato dal mio professore per un colloquio di valutazione, mi resi conto che, grazie alla cultura del merito, la mia condizione di precario era una carta da giocare nelle mie mani. Forte dei risultati ottenuti con il mio lavoro, potevo negoziare condizioni molto migliori di quelle che avrei ottenuto con un posto fisso. Ho sempre rifiutato posizioni stabili perché ero consapevole che la libertà e anche l’opportunità di migliorare posizione, fondi per la ricerca e stipendio, dipendevano da me e dai risultati della mia squadra.
E’ un modo molto americano di ragionare, e c’è anche un drammatico rovescio della medaglia perché negli Stati Uniti se ti capita di ammalarti o se perdi il lavoro, non ci sono protezioni sufficienti e si può rischiare di cadere in fondo al pozzo in qualunque momento.
Ma proprio perché noi siamo europei, dobbiamo applicare la giusta formula che sappia tenere insieme le esigenze di un mercato del lavoro flessibile e garanzie sociali forti per la tutela degli individui.
Così come è fondamentale che il nostro Paese e la nostra economia facciano leva su tutto il potenziale di talento che l’Italia è in grado di offrire, a partire dalle donne.
Una proposta semplice la voglio fare: introduciamo il concetto che il congedo parentale facoltativo venga diviso equamente tra il padre e la madre, rivedendo naturalmente il relativo trattamento economico.
Spesso le donne che lavorano hanno maggiori difficoltà perché il datore di lavoro non vuole correre il rischio delle assenze legate alla maternità… e allora, cambiamo le regole! Introduciamo questo nuovo principio, riconoscendo il congedo in parti uguali ad entrambi i genitori, in modo che nel momento in cui nasce il bambino, siano sia la mamma che il papà a doversene occupare. Sarà un passo avanti, piccolo ma significativo, per parificare l’attività professionale di uomini e donne ma anche culturale. Un passo che riduca la discriminazione delle donne al momento dell’assunzione.Ma pensiamo anche ad un congedo parentale per i nonni: è su di loro che spesso ricade il peso di un sistema di welfare deficitario per quel che riguarda i servizi alle famiglie, e che non si è ancora adattato al nuovo ciclo di vita delle persone.
Quanto alla revisione dell’età pensionabile per le donne che ci è imposto dall’Unione Europea, dev’essere chiaro che i risparmi che deriveranno dall’innalzamento dovranno essere destinati ad interventi per sostenere il percorso delle donne: sgravi fiscali per le aziende che si dotano di asili nido, che consentono alle dipendenti flessibilità con schemi di telelavoro, part-time, ingressi flessibili e job sharing.
Un altro dei temi che consideriamo prioritari riguarda la sicurezza intesa come sicurezza solidale, garanzia della legalità e certezza delle regole ma anche dei diritti.
Il “pacchetto sicurezza” del Governo Berlusconi ci prospetta una logica per cui l’unico modo di rendersi più sicuri sarebbe quello di anteporre i propri diritti e le proprie libertà a quelli di chi è diverso e viene da lontano.
Se si nega il diritto alla salute allo straniero, lo si nega anche al cittadino italiano che viene esposto a eventuali malattie infettive di cui quello straniero può essere portatore.
Quando si nega o si scoraggia il diritto all’istruzione obbligatoria, in nome dell’irregolarità dei genitori, si costringe un bambino all’ignoranza, impedendo così all’istruzione di essere un naturale presupposto per l’integrazione.
Quando si cancella dall’anagrafe lo straniero privo di un contratto di affitto si compromette il controllo della sua presenza sul territorio.
E ancora, quando si prevede l’espulsione di un lavoratore straniero, in ragione dell’irregolarità del rapporto di lavoro o di un licenziamento anche illegittimo, certamente lo si espone al potere di ricatto del datore di lavoro.
L’ineguaglianza e l’insicurezza dei diritti e della libertà di talune persone non può che innescare la minore tutela anche dei diritti e della libertà degli altri. Per questo, occorre promuovere, senza discriminazioni, eguaglianza e sicurezza per tutti.
Su questo, la posizione e l’azione del Partito Democratico debbono essere fermissime.
La sicurezza non si garantisce con le ronde ma, al contrario, rafforzando la presenza sul territorio dello Stato e delle sue figure istituzionali: le forze dell’ordine in primo luogo, supportate da una stretta collaborazione con gli enti locali.
E’ evidente poi che se a un sistema di sicurezza efficiente non abbiniamo una giustizia che funzioni, il tutto risulta vanificato. Giustizia e sicurezza sono due facce della stessa medaglia: non c’è giustizia se i cittadini sono e si sentono insicuri ma non si può parlare di sicurezza se la macchina della giustizia non è in grado di garantire rapidità ed efficacia nelle decisioni.
Ritornando al discorso sulla democrazia, di recente si è finalmente ricominciato a parlare di conflitto di interessi, degli errori compiuti molti anni fa, delle conseguenze che ancora oggi costituiscono “l’anomalia italiana”. È ora che la politica torni ad occuparsi di questo problema, la cui complessità si riflette sull’economia, sulla politica, sullo stesso concetto di democrazia e di partecipazione. Democrazia non significa solo poter esprimere il proprio consenso, ma anche poterlo formare attraverso un’informazione libera e plurale. Sul versante televisivo in Italia questo principio non è rispettato.
Anche su questo il PD deve prendere una posizione netta: smettiamo di stare al gioco solo per poter nominare un direttore o un vice-direttore della televisione pubblica! Dobbiamo occuparci di che cosa sarà l’informazione e la comunicazione tra dieci o tra quindici anni.
La televisione rappresenterà solo una minima parte di questo mondo ma se non ci preoccupiamo oggi di stabilire regole chiare, ci troveremo domani a gestire nuovi e forse più complessi conflitti di interesse.
Il sogno ambizioso, una grande sfida democratica, è quello di arrivare a garantire ovunque l’accesso alla rete attraverso la banda larga, gratuita. Ma questo sarà possibile solo se fissiamo obiettivi concreti sugli investimenti per le infrastrutture e se stabiliamo le regole per i gestori.
E’ una politica miope quella che si occupa delle leggi sulla comunicazione ignorando che nel futuro i nuovi mezzi che oggi rappresentano lo strumento di massima democrazia, potrebbero finire per essere controllati da pochi colossi industriali e limitati da normative che tendano ad introdurre limiti all’informazione in rete.
Un esempio lo abbiamo già davanti agli occhi con il decreto Alfano sulle intercettazioni in cui si vuole limitare la libertà dei “citizen journalists”, inserendo regole che per equiparare i blog alla stampa ufficiale, rendono di fatto assai più difficile continuare a esprimersi liberamente in rete.
Ci sono anche altri diritti. Non sono questioni marginali che riguardano pochi, ma hanno a che vedere con la vita di ciascuno di noi e delle persone che amiamo.
Dobbiamo arrivare a posizioni chiare, il più condivise possibile, ma come si legge nel Vangelo di Matteo: “il sì è sì, il no è no, tutto il resto è del maligno”.
La vicenda del testamento biologico è stata esemplare: la posta in gioco non era solo consegnare una legge laica al paese, attraverso la quale ognuno potesse fare una scelta in base alle proprie convinzioni o alla propria fede.
Significava affermare il principio secondo cui uno Stato laico deve sempre proteggere i diritti civili con norme rispettose degli orientamenti e della libertà di ciascuno.
Non “diritti speciali”, ma diritti uguali per tutti, siano essi gli ammalati, le donne, i bambini, le coppie di fatto, gli omosessuali, o chiunque altro, tutti!
Per questo il testamento biologico è stato la cartina di tornasole che ha dimostrato come la maggioranza della nomenclatura ha preferito una falsa unità, di facciata, la medesima cui stiamo assistendo nelle altre due mozioni del PD, piuttosto che dare una risposta chiara a uno dei mille interrogativi che la modernità ci pone.
Dall’Europa sono anni che arrivano a tutti gli stati membri richieste di adeguamento ai parametri europei sui temi legati alle unioni civili. In Italia siamo rimasti tra gli ultimi. Una ragione c’è: nel nostro paese la cultura dei diritti è arretrata, soprattutto a causa della politica che è incapace di affermare “laicamente” il principio della piena uguaglianza dei cittadini, come recita l’articolo 3 della Costituzione. E, quindi, procediamo con l’approvazione di una legge sulle Unioni Civili, sulla falsariga di quella approvata nel Regno Unito, che dia a chi si ama quelle protezioni che la legge garantisce ad altri.
Non posso immaginare che tra due persone che hanno condiviso tutto nella vita possa accadere che se uno si ammala, l’altro rimanga fuori dalla porta della rianimazione perché non sono legate dal matrimonio. Si reprima l’omofobia alla pari di ogni altra forma di razzismo.
Si approvi una legge che consenta a individui singoli di essere valutati, con il rigore che la legge già oggi richiede alle coppie al fine dell’adozione. Lo si faccia avendo in mente soltanto l’interesse esclusivo del minore e nient’altro.
Questi sono i miei pensieri e le mie personali convinzioni che esprimo con umiltà e senso del dubbio.
Non sono ignaro delle difficoltà ma una cosa posso prometterla: non mancherà mai il mio impegno nell’ascoltare tutti e nel cercare di garantire a tutti la propria felicità, conoscendo come unico limite la libertà e il rispetto degli altri.
Se qualcuno mi chiedesse qual è il nucleo del messaggio che vogliamo mandare all’Italia, direi così: c’è tanta stanchezza, ma anche le energie per risollevarsi.
Noi vogliamo risollevare l’Italia.
Questo è possibile, uso una parola forte, se sapremo realizzare una vera “rivoluzione” democratica.
Se saremo orgogliosi ognuno della storia dalla quale viene ma se, elaborata quella storia, avremo tutti assieme il coraggio di fondarne una nuova. Un nuovo pensiero.
Il pensiero nuovo di cui c’è bisogno verrà dal pluralismo dei circoli del PD, non dalle correnti. Le correnti non producono partecipazione, passione; semmai comando, gerarchie, passiva ubbidienza. Non distribuiscono speranze, sogni, sfide, ma potere e sottopotere.
Tutti i candidati segretari oggi si dichiarano sensibili al tema. Ma io chiedo: sono disponibili a sciogliere le varie correnti e sottocorrenti che li sostengono?
Si può passare dalle belle parole, pure apprezzabili, ad ancora più apprezzabili fatti concreti?
D’altra parte, solo un partito coraggioso può riprendere per mano l’Italia. Unirla.
Ecco, questa è la missione per l’Italia.
Questo significa “respiro maggioritario”: parlare a tutto il Paese, indicare una via, convincere le persone. Credere di poter cambiare i rapporti di forza anche dal basso. Perché gli orientamenti elettorali non sono chiusi dentro recinzioni inviolabili.
Tutto ciò non ci fa sottovalutare le alleanze. Nessuno è così ingenuo da pensare che il Partito Democratico possa governare da solo. Le alleanze sono indispensabili.
Il nostro compito è individuare una base solida di principi e di progetti su cui costruirle.
Non tornerà la voglia di politica in Italia se non tornerà innanzitutto, prepotentemente, nel PD. Ma la voglia torna se il potere di decisione si condivide. Se il PD avrà un segretario eletto con milioni di voti, in grado di esercitare il suo governo per il mandato che gli è concesso, ma se avrà anche tanti, tanti e tanti cittadini che potranno discutere, decidere e votare su questioni fondamentali di scelte e di indirizzo politico e programmatico.
Il nostro programma INIZIA qui, oggi, e continuerà nei prossimi mesi. Io, assieme a tutti coloro che condividono questo progetto, riprenderò il viaggio di cui vi parlavo all’inizio, ascoltando tutte le proposte e tutte le critiche.
Perché CREDO nello slancio riformista di una grande forza politica,CREDO che per ritrovare energia dobbiamo VIVERE il PD, CREDO che INSIEME possiamo CAMBIARE L’ITALIA!!!"

domenica 17 maggio 2009

" Tempus fugit "

...un'indescrivibile voglia d'animazione, di contatti, di conoscenza. Tutte le sere spese a capire un pò di più riguardo la nostra cittadina.
Tre settimane al voto comunale, primi comizi alle spalle e nuove cose da valutare...

Proprio nella stessa data (...quella del mio primo comizio!!!) ma di trentuno anni fa, lo spartiacque violento nel lento scorrere del fiume criminoso della connivenza; un riferimento che porterò con me... e che stasera mi ha fatto accennare a quello che ricordavo, di una stagione violentissima di morti ammazzati e di paura, un brutto periodo che anche la nostra Bellizzi ha vissuto.

Aldo Moro: ammazzato dalle B.R. perchè incarnazione di un nuovo modo di fare politica, aperto e condiviso. Con la sua voglia di dialogo, da un mondo di correnti differenti ma ugualmente impegnate, per la crescita della nostra nazione.

Di questa triste vicenda tutti sanno parecchie cose, di un'altra, accaduta nelle stesse ore, invece si sa pochissimo.

Peppino Impastato: un eroe rurale, passatemi il termine, assassinato dalla mafia. Uomo fatto in strada, cresciuto tra la gente, in una sicilia difficile e spesso troppo accondiscendente.

Due storie lontanissime e pur vicine, di una politica sentita fino all'inverosimile! Due vite distrutte per ricostruire un sentimento ed una morale, due vite spezzate per rinsaldare quel legame onorevole tra elettore ed eletto. Un lascito importante, uno spirito guida, per i futuri impegni dei vecchi e dei nuovi politici italiani.

mercoledì 31 dicembre 2008

" Buona fine... "

...anzi,buona buooona!!!

...un 2008 duro, nudo e puro. Oggettivamente un bicchiere mezzo vuoto, da ottimista che sono...

Ricordo l'intro dell'anno: il dramma dei rifiuti, la giustizia, la caduta del governo Prodi. Il PD, gioie e dolori...
Poi l'incredibile storia di un medico...
Le elezioni ed il bipolarismo forzato.

La nascita di mia figlia!!!

A contorno un difficile momento economico-commerciale. L'assuefazione all'insoddisfazione...

giovedì 24 luglio 2008

" Federica Granato "

...mia figlia! Veramente carina, no?
Ho riflettuto un pò... poi però ho deciso di pubblicarvi la sua foto, per tutti quelli che ci vogliono bbbene...

...e venivamo da un marzo inenarrabile, iniziato col Sanremo, i simboli, le liste e... la festa della donna!!!
...da un incubo, una delusione, tanta amarezza: uno Stato prigioniero e la democrazia in fondo ad un pozzo...

Ed è arrivata LEI!!! ...e subito a riscoprirsi lottatore ed a decidere, stanotte dopo aver messo a letto le mie donne, di continuare... anche dopo la prima risposta negativa del T.A.R., consapevoli dell'aggravio economico ma ancora, malgrado tutto, speranzosi, rincuorati e fiduciosi.

lunedì 17 marzo 2008

" San Patrizio, il pozzo! "

...dopo aver esaminato attentamente tutta la situazione, con il giusto supporto legale, posso spingermi a chiarirvi alcune cose.

Il sistema universitario italiano è malato! E' una notizia?
Ai miei microfoni lo ammettono anche un professore/primario, un direttore di specializzazione ed un preside di facoltà. Che notizia!

Sei una giovane donna, all'ottavo mese di gravidanza, aspetti il tuo turno, dopo quattro finti concorsi, da brava non raccomandata... e finisci che ti dicono: "...alla prossima, ora non potresti neanche frequentare... viviti la nascitura e poi vediamo...".

Beh, tre possibilità: attendere (con quali certezze?), rinunciare (al sogno!) o tentare di... (!?).

Noi, io con mia moglie e la quasi nata Federica, decidiamo di tentare... denunciare, provare a far cambiare le cose!
Illusi? Lo pensano tutti, chiunque ci consigli...

Abbiamo appena finito di sistemare le scartoffie, domani passiamo all'azione legale di tipo amministrativo... ricorso al TAR, per intenderci!
L'azione di tipo penale comporterebbe un aggravio economico esagerato e tra 10 anni, oltre alla prescrizione, potremmo solo calcolare costi e ricavi...

Mia moglie non farà più il pediatra? Può essere!
Però potremmo continuare ad urlare il nostro disappunto, la nostra indignazione, consapevoli d'aver speso bene la nostra Passione Democratica!!!

Come finirà?
E Federica... come la vivrà?

...at soon

lunedì 10 marzo 2008

" ...tutto va come deve andare? "

...attendiamo mercoledì, diamo la possibilità a chiunque di riprendersi da un errore commesso per sbaglio, no?

Fondamentalmente tutti e tre mi son sembrati vittime più che carnefici!!!

domenica 9 marzo 2008

clinica pediatrica STOPPOLONI

...domani il grande giorno! Lo scontro finale?



...vi terrò aggiornati!!!

" confessioni choc! "

...mi rimbombano nella testa quelle parole:
"Niente, io sono contenta di avere fatto quello che abbiamo fatto. Tieni pulita la tua camera."
Così Rosa Bazzi ad Eolindo Romano, i criminali della strage di Erba...

Le abitudini di alcuni sono talmente diverse dalle mie da risultarmi incomprensibili!!!

Per tanti tutto è come dovrebbe essere...



Però la giustizia fa il suo corso... ed almeno qualcuno (?), poi, si pente!?

Speriamo...

sabato 8 marzo 2008

Francesca Pisani

...questo il nome della collega di mia moglie che mercoledì prossimo vincerà il concorso per la Scuola di Specializzazione in Pediatria della Seconda Università degli Studi di Napoli.

Un 8 marzo all'insegna dell'ennesima ingiustizia ai danni di una giovane donna, medico volenteroso con una passione per le nuove generazioni, con il sogno di poter un giorno curare dei bambini.

Noi ci avevamo creduto, come degli idioti... ma il sistema è gravemente malato, bisogna correre ai ripari, non possiamo più permettere che si continuino ad occupare posti d'importanza sociale grazie alle raccomandazioni ed ai favori politici... spesso con persone impreparate, svogliate e pericolose!!!

E' tempo di provare a cambiare le cose, a costo di dover rinunciare al sogno... rischiando, però, di lasciare un paese migliore a quei bambini, al futuro di questa... Italia!

Appena mia moglie si riprende dallo shock scriverò la storia completa, con tanto di nomi, luoghi e fatti... Forse è quanto avremmo dovuto fare anni fa, quando questa storia ha avuto inizio...

mercoledì 16 gennaio 2008

"...non tutti i mali... "

In pochissimi giorni due grandi questioni nazionali han fatto discutere parecchi cittadini italiani: LAICITA' dello stato ed imparzialità della GIUSTIZIA.

...i fatti raccontano di un Papa che ha deciso di non intervenire all'apertura dell'anno accademico di un'importante università italiana e di un ministro della giustizia dimissionario per motivi di legge.


Ora, senza dettagliare troppo (per questo esistono i link), che si faccia tutto sto baccano per il capo d'una confessione religiosa, dapprima invitato e poi osteggiato da una minoranza della stessa università (La Sapienza di Roma), ritenuto poco performante per l'evento introduttivo d'un centro studi, che per sua natura dovrà avere la massima apertura culturale possibile anche in fatto di religione (...oltre a razza, colore, sesso, lingua, ecc... ecc...), mi sembra francamente eccessivo.

Probabilmente si continua a soffiare sul fuoco dell'intolleranza...

Nessuno si lamenterebbe per una comunissima visita durante l'anno accademico, è chiaro? Vogliamo ricominciare a dibattere sulle stronzate Ratzingeriane? E su quelle della chiesa? ...ma daiii!!!


...e ancora: un ministro della giustizia, in politica da millenni, indagato per concorso esterno in associazione a delinquere, per due episodi di concorso in concussione, per una tentata concussione, per un concorso in abuso d'ufficio e per due concorsi in falso, che decide di dimettersi (di buon mattino dopo le prime notiziuole riguardanti gli arresti domiciliari per la moglie, presidente del consiglio regionale della Campania) ...provoca un altro finimondo!?!

E cosa avrebbe dovuto fare? Spostare le indagini e anche qualche giudice? Dichiararsi innocente e continuare a far crescere il malessere nei confronti della classe politica dirigente? Attendere una legge ad hoc? ...ma LA LEGGE E' UGUALE PER TUTTI !(?)


Insomma, in un modo o nell'altro, sforzandoci di vedere il bicchiere mezzo pieno, abbiamo limitato l'onnipresenza ecclesiastica (che tanti danni continua a fare) e strigliato per benino una cattiva logica politica, quella del MO' CUMMANN'IO E FACCIO COMME RIC'O IO!


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Il popolo SOVRANO è stanco, è molto stanco!

Desidererebbe riposare un pò, smetterla di lottare per ciò che gli spetta di diritto!

Una buona legge elettorale (ci salveranno i referendum?), un pò d'impegno per l'ambiente (chi ci salverà dalla monnezza?), una scuola che acculturi (nozioni ed applicazioni!), un lavoro sicuro e dignitoso, una ritrovata serenità sociale...


...e quanto Vi ci vuole per eseguire i nostri ordini? Non in danaro (...non vi basta?) ma in mesi, in anni.
Datevi degli obiettivi e datecene conto spesso... altrimenti passate la mano, lasciate provare qualcun altro!!!

...e chiedere troppo?


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P.S.: ...pensatela come volete ma, in questi giorni, il giusto mix tra gli interventi di Di Pietro, Odifreddi, Pannella e Rodotà avrebbe colmato tutte le lacune di noi comuni esseri umani italiani.