"A metà dell’Ottocento John Stuart Mill era convinto che il nuovo sistema rappresentativo garantisse a ‘tutte le voci ‘ del Regno di farsi sentire nel parlamento. La storia gli ha dato torto. Anche in virtù della deriva maggioritaria, i parlamenti si sono sempre più allontanati dal paese reale, e sempre più i parlamentari rappresentano, in primo luogo, se stessi. La democrazia rappresentativa ha bisogno, dunque, sia di una sua riforma interna in senso proporzionale, sia di essere arricchita da nuove forme di democrazia partecipativa. Ciò che vale per il sistema politico nazionale è ancora più vero per i partiti in cui la democrazia ha sempre fatto fatica ad imporsi. La teoria che sottende ai cambiamenti deve essere resa esplicita: il sistema rappresentativo è l’unico che garantisce la partecipazione di tutti i cittadini in condizioni di voto segreto. Esso gioca di conseguenza un ruolo insostituibile. Ma per affrontare l’attuale crisi deve essere associato alla democrazia partecipativa E il punto cruciale riguardante il rapporto tra i due risiede nel fatto che l’attività costante della partecipazione alimenta e garantisce, stimola e controlla la qualità della rappresentanza e la qualità della politica pubblica.
In altre parole è emersa in questi ultimi anni una domanda esplicita di rottura che ha al suo centro una nuova percezione dello spazio pubblico, che non può essere ridotto né all’attività, sempre più degradata, dei partiti, né ai codici di per sé privatistici, del “mercato”. Tra i cittadini è cresciuto il desiderio di riappropriarsi di ciò che è comune, non solo beni ma anche processi. La democrazia si allarga e diventa più inclusiva: delle nuove forme di partecipazione dei cittadini, della gestione dei beni comuni, della società civile che interagisce, in piena autonomia, con una sfera politica che si apre alla cittadinanza invece di chiudersi come un riccio.
Processi di questo tipo cambierebbero in positivo anche il delicato rapporto tra privato e pubblico. Nei decenni del neoliberismo abbiamo assistito al trionfo del privato, declinato in vari modi: consumismo, chiusura nell’interesse personale, familismo, evasione fiscale; ma anche, sul versante opposto, solitudine, frammentazione, esclusione. Sarebbe ora di riattivare e riapplicare quella rivoluzionaria intuizione del movimento delle donne degli anni ’60 e ’70: ‘il personale è politico’. Le persone, uomini e donne, devono riflettere sul loro ‘privato’ – i loro valori, consumi, strategie individuali e familiari. Questa riflessione ha rilevanza per lo spazio pubblico di più grande emergenza – l’ambiente. Una visione ecologica del mondo incentrata sui beni comuni richiede una trasformazione qualitativa e relazionale del rapporto tra spazi pubblici e privati, così da perseguire la giustizia ambientale e sociale. I destini del pianeta non possono essere affidati esclusivamente ad interessi individualistici, guidati dal tasso di profitto a breve termine e dalla negazione della dignità del lavoro. In coerenza con una visione ecologica del mondo incentrata sui beni comuni, occorre invece coniugare i doveri e i diritti, per costruire relazioni equilibrate per l’insieme della collettività.
Troppe volte la ‘partecipazione’, come viene praticata dai partiti ansiosi di dimostrare la loro disponibilità e la loro ‘modernità’, ha assunto il volto dello ‘sfogatoio’, con assemblee caratterizzate da un confusionismo generale. Occorre invece uscire da questa mistificazione della sovranità popolare, e allo stesso tempo destrutturare una sovranità popolare totalmente fondata sulla delega. Occorre trasformare il livello prepolitico della partecipazione in diritto alla democrazia. Possiamo infatti mutuare i principi della Convenzione europea di Aarhus – legge dello Stato a partire dal 2001. La Convenzione, attraverso l’istituto della partecipazione, riduce la discrezionalità delle scelte politico-amministrative, obbligando le istituzioni a prendere in considerazione le istanze partecipative e ad argomentare in maniera più circostanziata le proprie decisioni.
In questo senso il Laboratorio Napoli “Per una Costituente dei beni comuni” prevede sedici consulte divise per macro-aree che si interfacciano con i singoli assessorati attraverso il ruolo dei facilitatori. L’informazione deve costituire il presupposto per una reale partecipazione. Il processo partecipativo è normato e calendarizzato, la sua violazione può determinare l’annullamento degli atti amministrativi. Ciò rende certo il processo evitando forme fasulle e confusionarie della partecipazione, ponendosi come un esempio del necessario connubio tra rappresentanza e partecipazione.
Un altro esempio di partecipazione, disegnato per la consultazione di un grande numero di cittadini, è il referendum on line che, preceduto dalla necessaria dispensa di informazione bi-partisan, può portare alle decisioni in tempi rapidissimi.
Un altro ancora viene chiamato PARTY (partecipazione attiva riunendo tavoli interagenti). E’ un metodo ispirato a due fra i più diffusi (Town meeting e Open Space Technology), che permette di discutere e decidere insieme sia su questioni locali che nazionali. Un’assemblea, ad esempio, viene divisa in tavoli di dieci-quindici persone ciascuno. I/le partecipanti, che possono non conoscersi affatto, affrontano i temi a loro sottoposti. Per ogni tavolo si sceglie una persona per facilitare il dibattito, un’altra per prendere appunti. Dopo una lunga e informata discussione in un arco di tempo prestabilito, ogni tavolo cerca di esprimere nel report un’opinione collettiva che può anche comprendere proposte diverse. Alla fine, una sintesi di tutto il lavoro svolto viene presentato alla plenaria. L’interazione tra chi partecipa ai tavoli e la possibilità di essere praticata a costi contenuti e con un uso ottimale delle tecnologie informatiche, costituiscono un pregio particolare di questo tipo di democrazia partecipativa.
Di tutte le forme di democrazia partecipativa, quella iniziata nella città di Porto Alegre in Brasile rimane una delle più convincenti, e per tre ragioni principali: la prima perché la partecipazione è calendarizzata, con un forte senso di continuità temporale durante l’anno, non limitata a una singola occasione. La seconda perché prevede un gran numero di luoghi e livelli di partecipazione, dagli incontri di strada (street meeting) di gennaio al Consiglio di bilancio in settembre, alla solenne adozione del bilancio partecipativo da parte del consiglio municipale e del sindaco a fine anno. E la terza perché è un processo, non un momento, che contribuisce così alla formazione di un prezioso capitale per qualsiasi democrazia – gruppi crescenti di cittadini informati, attivi e con idee chiare su che cosa costituisce una cultura democratica. Dobbiamo trovare, declinando in più di un modo la democrazia partecipativa, la forza per portare avanti una vera rivoluzione culturale fatta di trasparenza e responsabilità."
www.soggettopoliticonuovo.it
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